P.
GIOVANNI BATTISTA MANZELLA
(1855-1937)
Padre Giovanni
Battista Manzella ha incarnato, in tutto il secolo scorso, un altissimo ideale
sacerdotale e missionario, cui si ispirarono molti sacerdoti e religiosi.
Infatti, la biografia che ne scrisse il Signor A. Sategna (
[1]
) fu particolarmente
diffusa anche nei Seminari italiani degli anni cinquanta, dove veniva letta
comunitariamente soprattutto in occasione di ritiri spirituali.
Di questo
grandioso “ideale sacerdotale” incarnato da lui si fece interprete lo stesso
Giovanni Paolo II con le parole rivolte ai vescovi sardi nella prima visita
‘ad limina’ del 1981: " Non posso non ricordare l'opera assidua ed
indimenticabile del Signor Manzella, l'apostolo della Sardegna, che catechizzò
per circa quarant'anni, percorrendola in lungo e in largo: egli, prima come
Direttore spirituale nel Seminario di Sassari, e poi nelle sue 'missioni',
ebbe sempre come ideale appassionato l'amore e l'aiuto al clero, sostenendolo
con la sua fede integerrima e con la sua opera infaticabile. E proprio l'intera
esistenza del Signor Manzella dimostra quanto è necessaria la sintonia tra
clero e religiosi nelle varie attività parrocchiali, diocesane e regionali
e come è facile realizzarla, se si vuole, secondo le direttive del documento
'Mutuae relationes' (
[2]
)
Vocazione
sacerdotale e vincenziana
Nacque il 21 gennaio 1855 in Soncino, caratteristico
paese medievale della provincia di Cremona, e il giorno seguente fu portato
al fonte battesimale nella chiesa parrocchiale di S. Giacomo, ricevendo i
nomi di Bartolomeo Giovanni Battista.
Terminati
gli studi tecnici, si unì al lavoro di materassaio del padre Carlo, prima
in paese e, quindi, a Lecco nel rione Castello, dove si trasferì con
i genitori nel 1875. Intanto il fratello minore Ezechiele era entrato nel
Seminario diocesano di Cremona. Nel novembre 1880 il nostro Giovanni Battista
trovò lavoro in questa città come commesso in un negozio di ferramenta. Quì
imparò a conoscere San Vincenzo de' Paoli soprattutto nell'esperienza caritativa
della Conferenza Maschile di San Vincenzo (
[3]
)
Quando Ezechiele
divenne sacerdote, finalmente anche lui, ormai ventinovenne, riuscì a entrare
nell'Istituto Villoresi di Monza, dove venivano accolte le vocazioni adulte.
Vi frequentò gli studi per tre anni. Ma il suo direttore spirituale lo indirizzò
alla Congregazione della Missione: "Tu sei fatto per l’obbedienza; tu
ti farai berettante" (
[4]
) , gli disse.
E fu profetico.
Il 2 novembre
1887 si presentò alla Casa della Missione di Torino e il 21 novembre fece
la vestizione vincenziana nel Noviziato di Chieri. Qui si lasciò letteralmente
plasmare dalle Regole di San Vincenzo, imperniate, quanto a formazione spirituale,
sull’ascesi dell’umiltà, semplicità, mansuetudine, mortificazione e zelo per
la salvezza delle anime. Nei sei anni di formazione al sacerdozio, progredì
talmente in queste virtù, che, in seguito, tutta la sua vita e apostolato
ne sarebbero rimasti caratterizzati profondamente, diventando una viva immagine
del santo fondatore. In particolare,
l’umiltà e la mortificazione l’avrebbero portato, fino a saper sopportare
serenamente umiliazioni e anche calunnie, sull’esempio e alla scuola di San
Vincenzo, scegliendo eroicamente di mai difendersi presso alcun superiore
(
[5]
) .
Ricevette l’ordinazione sacerdotale nella cappella del Seminario Arcivescovile
di Torino il 25 febbraio 1893, ormai a 38 anni.
Macerato
dall’obbedienza
I primi sette anni di sacerdozio lo videro impegnato quasi totalmente
nella formazione dei giovani, lasciandosi macerare dall’obbedienza religiosa
nei molteplici trasferimenti. Per otto mesi del 1893 fu Direttore della Scuola
Apostolica di Scarnafigi (CN), quindi a Chieri (1893-1898) come Direttore
dei Novizi. A Como (1898-1899) gli fu affidata la predicazione delle missioni
al popolo; ma dopo due anni circa fu nuovamente trasferito a Casale Monferrato
(1899-1900), direttore disciplinare ed economo del Seminario Diocesano. Qui
i seminaristi acquisirono la consapevolezza di trovarsi dinanzi a un missionario
santo (
[6]
) .
Nel novembre 1900 fu trasferito in Sardegna, al Seminario Tridentino
di Sassari, in qualità di Direttore Spirituale. Anche in questa circostanza
il giudizio dei superiori maggiori esprimeva una qualche convinzione di santità
della sua vita. Infatti, il Visitatore della Missione, P. Emilio Parodi (
[7]
) , scrisse
all'Arcivescovo Mons. Marongiu Delrio: "Questa volta le mando come Direttore
Spirituale del Seminario il Signor Manzella, un santo missionario... non avrò
mai a pentirmi di averlo mandato in Sardegna".
Nel 1904 intraprese anche la predicazione delle Missioni al popolo
e l'anno seguente, ormai cinquantenne, vi fu destinato a tempo pieno insieme
col Signor Antonio Valentino (1869-1946).
Nella
predicazione al popolo
Le prime
missioni gli avevano fatto capire il bisogno della predicazione nelle parrocchie.
“Il popolo chiede il pane, ma non v’è chi glielo spezzi!”, fu il suo commento amaro alla missione di Pattada
(SS) del 1904, quando costatò l’ignoranza religiosa del popolo e il poco zelo
dei sacerdoti nella predicazione. E intraprese con entusiasmo e dedizione
questo ministero.
Concluso anche il superiorato della Casa della Missione di Sassari
(1906-1912), riprese ancora l'attività della "predicazione
a tempo pieno" ininterrottamente fino al 1926, quando fu nuovamente destinato
al Seminario di Sassari, sempre in qualità di Direttore Spirituale.
Furono, questi, i 13 anni di un apostolato particolarmente intenso
e proficuo, che lo fecero conoscere in tutti i ceti sociali della Sardegna:
da Sassari alla Nurra, alla Gallura, al Logudoro, al Goceano, al Meilogu,
fino a Bosa e Oristano, a Nuoro, alla Barbagia, e con frequenti puntate fino
all'Iglesiente, in Ogliastra, al Campidano e a Cagliari.
E' preziosa, in proposito, la testimonianza del Prof. Remo Branca:
"Manzella lo incontravo dappertutto: ogni incontro una lezione definitiva.
Chi come me ha visitato la Sardegna in ogni suo più remoto angolo, sa che
l'Isola fu veramente conosciuta e visitata da tre uomini, i quali impiegarono
dai quindici ai vent'anni per averne una visione precisa anche nei particolari.
Il La Marmora, che studiandola sotto l'aspetto fisico e militare, ne diede
immortale notizia in due opere monumentali: nel Viaggio in Sardegna e nell'Itinerario;
il Bertarelli, che la frugò per 17 anni consecutivi per scriverne la nota
Guida del Touring; ed infine Manzella che vi camminò sopra per 37 anni consecutivi.
A parte il maggior numero di passi e di anni, dobbiamo ora proclamare, di
fronte alla storia dell'Isola, che la Guida più sicura, per noi poveri pellegrini,
l'ha scritta Lui, scrivendo di meno e camminando di più".
Apostolo
infaticabile
“Andremo a convertire le genti!” era
stato il primo sogno della sua giovinezza già nel negozio di ferramenta a
Cremona. La formazione vincenziana del Noviziato, poi, l’avevano orientato
alla “evangelizzazione dei poveri, specialmente delle campagne”, dove
maggiormente San Vincenzo aveva esperimentato l’ignoranza religiosa e l’abbandono
da parte del clero, che invece si riversava numeroso nelle città. Aveva, infine,
fatto suo l’invito accorato del suo fondatore: “Diamoci risolutamente a
Dio, lavoriamo, lavoriamo, andiamo ad assistere i poveri campagnoli, che ci
aspettano…” (
[8]
) .
Degno figlio
di San Vincenzo, era consapevole che “chi dice missionario, dice uomo chiamato
da Dio a salvare le anime, perché il nostro fine è di occuparci della loro
salvezza, ad esempio di Nostro Signore Gesù Cristo, il solo vero Redentore…
e Salvatore” (
[9]
) .
E Padre
Manzella ne fece il suo programma sacerdotale. Così fu capace di spendersi,
soprattutto nel ministero delle confessioni, perno delle missioni popolari,
anche 20 ore su 24 con estrema disponibilità. Di giorno aveva inventato, nei
tempi liberi dalla predicazione, di fare la “pesca a domicilio” in
cerca delle “pecore smarrite” ammalate o anziane. La sera tardi, poi,
era dedicata alle confessioni degli uomini, confessando anche fino alle undici
e a mezzanotte. Per questo decideva, tante volte, che per quattro ore non
meritava neppure andare a letto; e preferiva riposare, in spirito penitenziale
e per il buon esito della missione, sul seggiolone o sulla sedia dinanzi al
tavolino. In missione a Berchidda,
una notte crollò letteralmente in un sonno profondo nel confessionale, che
non si svegliò neppure quando fu portato dagli uomini sulla sedia fino in
camera e lasciato lì in mezzo alla stanza.
Ma caratteristica delle sue missioni divenne anche la famosa trombetta,
mutuata dal banditore che girava in tutto l’abitato per dare gli avvisi importanti.
Fu detto “il trombettiere di Cristo” perché lo rese familiare ai bambini nei
paesi, ma anche negli stazzi e ovili delle campagne sarde. Ancora oggi viene
ricordato così dagli anziani, che lo incontrarono negli anni trenta, lui ormai
sulla soglia degli ottanta:
“Ogni giorno Padre Manzella usciva in giro per il paese suonando una trombetta.
Noi bambini allora uscivamo di casa e andavamo incontro a lui, ci attaccavamo
alla lunga sottana e, facendo il trenino, ci faceva girare tutto il paese.
Arrivati in chiesa, siccome non c’erano banchi, ci faceva sedere per
terra. Lui ci diceva: ‘Bambini, fate i bravi che il Signore vi guarda, vi
vuol bene e vi protegge!’. E così iniziava a farci pregare e ci faceva il
catechismo” (
[10]
)
Nei suoi
scritti troviamo alcuni tratti significativi di questa spiritualità dell’apostolato.
-
“In questi giorni, come in altri tempi, mi venne un pensiero che mi pare venga
da Dio. Io dico che Gesù mi lascia nell’aridità, però opera lo stesso in me
in altro modo. Io mi sento tanto amore per salvare le anime.
Lavoro da disperato,
e non lo faccio né per farmi vedere, né per lode. Ma perché so che piace a
Gesù. Mi vergogno di dirlo, ma molti miei confratelli non si sentono di sacrificarsi
tanto. Chi mi dà tanta buona volontà e tanto sacrificio? Mi pare sia quel Gesù
che mi nega un po’ di fervore.
In questi giorni ho
confessato fino a capirne più nulla. Soltanto quando la testa non si prestava più, soltanto allora seppi dire di no a chi mi cercava.
Queste sono le opere di Gesù. Questo pensiero mi ha consolato. Ne ringrazio di
cuore il buon Gesù. Faccia come vuole di me” (
[11]
) .
Evangelizzare
in parole e opere
Altra sua caratteristica fu lo stile dell’apostolato.
In un tempo fortemente segnato dal socialismo anticlericale, seppe realizzare
in pieno il principio vincenziano dell’ “evangelizzare in parole e in opere”
(
[12]
) . Così le missioni popolari manzelliane, finalizzate
soprattutto ai sacramenti della Confessione e Comunione generale, si concludevano
per lo più anche con la fondazione delle Dame della Carità e delle Conferenze
di San Vincenzo, per poi proseguire con altre fondazioni: Asili Infantili, Orfanotrofi, o Associazioni
particolari, come le Pietadine per combattere il funesto lutto sardo, le Società Cattoliche
Operaie da contrapporre alle omonime di ispirazione socialista, l'Associazione
della Dottrina Cristiana, ecc.
Soprattutto
le numerosissime Confraternite della Carità, maschili e femminili, diedero
alla Sardegna il primato nazionale di impegno caritativo nel 1923 e nel 1924.
Come collegamento formativo per gli oltre 250 Gruppi di Dame della Carità,
dal 1923 e fino al 1935, istituì il bollettino mensile
“La Carità”.
Anche in
Sassari, numerose istituzioni assistenziali sono direttamente fondate oppure
ispirate da lui: il Rifugio Gesù Bambino (1903), la Casa Divina Provvidenza
(1910), l'Istituto dei Sordomuti (1911) e, nell'anzianità, l'Istituto dei
Ciechi (1934). Nel Centro e Nord della Sardegna si rifanno a lui l'Orfanotrofio
maschile di Bonorva per i figli dei combattenti (1915-1918), gli Orfanotrofi
di Sorso (1918), di Tempio (1921) e di Olbia (1923), i Ricoveri per anziani
di Ghilarza (1923), di Oschiri (1923), di Orotelli (1925), ecc.
Per questo fu giustamente considerato come il
San Vincenzo della Sardegna per la sua grandiosa attività caritativa e seppe
conquistare il cuore di tutti, credenti, massoni e socialisti (
[13]
) . Vero padre dei poveri, non sapeva mai negare loro l’elemosina, arrivando
persino a donare loro le proprie scarpe!
Amico
dei sacerdoti
Guida umile e sicura
dei sacerdoti, sapeva incantarli ed entusiasmarli
nella predicazione nei Ritiri spirituali, richiesto un po’ in tutte le diocesi,
da Sassari a Iglesias e Cagliari. E questa sia ai cinquanta che agli ottant’anni.
"La sua fede risplendeva in tutta la sua persona, da tutto
il suo comportamento. La sua figura ci portava a pensare a Dio. Lo ricordiamo tutti quando predicava: quanta
unzione, quale fervore! Soprattutto i suoi occhi, i suoi begli occhi che splendevano
di cielo, facevano intravvedere il tesoro di fede che albergava nella sua
anima" (
[14]
) .
E Mons. Tedde nel 1949 aggiungeva:
“Se talora egli aveva espressioni di estatiche tenerezze verso il Signore
e verso la Vergine Immacolata, le circostanze della sua vita ci dicono che
quelle espressioni, quei 'momenti di paradiso' riflettevano il termine di
un tormento interiore, di una grossa battaglia intima per la vittoria completa
e sincera sul proprio carattere con i sistemi ed i mezzi classici della più
pura ascetica: preghiera assidua (passava lunghe notti a colloquio con Gesù
Eucaristia) ed austera penitenza, che piegavano il suo carattere ad una modestia,
semplicità, umiltà, obbedienza, e carità esemplare" (
[15]
) .
Vero amico
dei sacerdoti, accettava volentieri qualsiasi predicazione nelle parrocchie,
per le feste patronali oppure per Tridui di San Vincenzo, come animazione
dei Gruppi delle Dame sparse ovunque nell’Isola. La sua vita ci appare sempre
in movimento, sempre tra la gente, di paese in paese, capace di
adattarsi a ogni ceto di persone. Così lo ricordava ancora Mons. Fraghì nel
1948:
“La sua missione non aveva limiti:
in chiesa, nelle piazze, in treno o in carrozza, a cavallo o a piedi, dovunque
sentiva la necessità di dare i tesori della fede a chi ne aveva bisogno. E
si serviva di tutti i mezzi: della scienza teologica, che sapeva sminuzzare
in modo mirabile; dell’astronomia, per cui sentiva grande passione; dei fatti
di cronaca, che sapeva stralciare appositamente dai giornali; delle barzellette
popolari che sapeva raccontare in modo gustoso, dei cartelloni figurati, dove
c’era spiegato tutto il catechismo; e perfino dei giochi di prestigio, nei
quali era diventato maestro: tutto serviva al suo cuore di apostolo per diffondere
meglio la dottrina di Cristo” (
[16]
) .
Nei ritiri
sovente si rifaceva alla centralità dell’Eucarestia nella vita sacerdotale:
“Sacerdoti! Gesù è nelle nostre
mani. Io Sacerdote gli do la vita, lo chiudo nel tabernacolo. Egli non uscirà
se non quando vorrà il Sacerdote. Il tabernacolo è sempre chiuso, in certi
paesi anche la chiesa è sempre chiusa. Cosa sono le chiese? Le carceri di
N.S.Gesù Cristo. Il Sacerdote è il custode. Egli lo fabbrica, lo custodisce,
lo dispensa…” (
[17]
) .
In un altro
ritiro presbiterale concludeva così la meditazione: “Tornando alle vostre
case, andate dal Gesù del vostro paese, prima di entrare in casa. Vi inginocchiate
davanti a Lui e ditegli: ‘Gesù, vi consolerò per l’avvenire. Non vi sarò più
di pena ma di conforto. Vi porterò tante anime. Soddisferò il vostro infinito
amore col darvi più anime che potrò…’. Cantiamo pure l’inno di ringraziamento
al nostro Dio, al nostro Gesù, al nostro Amico, al nostro Fratello maggiore…”
(
[18]
) .
Maestro
di vita spirituale
Un aspetto tipico del suo apostolato fu anche la direzione spirituale
di anime privilegiate, che si consacrarono a Dio in Istituti religiosi o nella
vita secolare. Basti accennare alle Serve di Dio Edvige Carboni, Leontina
Sotgiu e Madre Angela Marongiu. Dovunque passava, suscitava un particolare
fascino per la vita spirituale intensa, che sovente sfociava nella vita consacrata.
Era un autentico suscitatore di vocazioni. Quante suore e sacerdoti devono
a lui la loro vocazione!
Le lettere, che indirizzava loro, esprimono tanti aspetti, tuttora
poco conosciuti, della sua ricca spiritualità.
A Leontina
scriveva: “Gesù dà ad ogni
santo un carattere singolare e sarà la fisionomia che ci distinguerà nei cieli.
Ricevi ciò che Gesù ti dà con rendimento di grazie. Lascia fare a Lui…” (
[19]
) .
E dalla missione di Castelsardo le scriveva
nel gennaio 1914: “Lavoriamo, Figlia carissima, alla santificazione delle
anime. Gesù lo vuole. Se una tua parola fa fede, perché non dirla? Se una
tua lettera può edificare perché non scriverla? Non sarai tu contenta se in
cielo troverai un numero maggiore di anime che cantano le glorie del Buon
Dio? Il timore della superbia bisogna lasciarlo da una parte. Io lascerei
di fare le Missioni, e nelle missioni di fare tutto quel che faccio. Alla
buon’ora… Ne parleremo a Voce. Angela ha pure la sua missione. Prega che Dio
compia presto i suoi disegni. Intanto fa già molto bene colle sue preghiere
e private esortazioni. Prega per questa missione… Suonan le campane; tutto
è finito anche per oggi (ore 5 mattina), attacchiamo il carro, devo andare
in Gesù e Maria”.
Grazie a questo epistolario,
possiamo conoscere anche alcuni aspetti tipici della sua spiritualità mariana.
Nel 1913, dalla missione di Perfugas ancora a Leontina faceva questa confidenza:
“Quali sono i titoli che do io alla Santissima, Carissima speciosissima,
buonissima Maria? E chi lo sa. Mi vuoi far fare la confessione generale? La
faccio. A Leontina nulla si nega. Senti. Io penso alla Beata Vergine che,
col suo Bambino in braccio, da Betlemme va a Gerusalemme. Io in quel mistero
la contemplo buona, buona buona mi par di vederla. Celebrando la S. Messa,
innalzo l’Ostia, la abbasso e la depongo sul corporale adagio adagio, come
se fosse la Beata Vergine Maria che lo depone nella culla. E dico: ‘Mio Gesù,
le mie mani sono immonde. Vi depongo sull’altare, come la Vostra carissima
speciosissima amabilissima Madre vi deponeva nella culla’. Quando copro il
Calice già consacrato, lo copro coll’amore con cui la bella buonissima amabilissima
Maria copriva il Suo amatissimo Figlio. Io penso talvolta che se la Beata
Vergine col suo Bambino fossero in una casa e minacciati, io starei fuori
al vento alla pioggia a patire sonno e disagi mortali per tutta l’eternità
per difendere la cara Immacolata Mamma del mio Signore. Dissi il falso? Mi
pare di no”.
Questo aspetto
mariano della sua vita ha diversi ulteriori arricchimenti, che però ora non
è il caso di approfondire.
Compì
anche miracoli ?
Così tocchiamo anche l’aspetto taumaturgico della su vita, manifestatosi soprattutto negli ultimi anni. Furono realmente tanti gli ammalati che, dopo l’incontro con lui, si ritrovarono guariti in modo prodigioso. I suoi biografi ne riportano diversi esempi; ma l’elenco dei miracolati si allunga anche oggi con testimonianze, che si raccolgono nei paesi. Sarà la Chiesa a verificarne la portata.
Le Suore
Manzelliane
Nel 1927 coronò ancora un suo antico sogno, radunando le prime Suore del Getsemani attorno alla confondatrice Madre Angela Marongiu (1854-1936). Egli pensò a questa nuova istituzione religiosa soprattutto come risposta al problema di tante giovani che, per coronare il loro ideale di vita consacrata, erano costrette a varcare il mare, in ambienti culturali ben diversi, dove però non si trovavano più a loro agio e rientravano deluse nei loro paesi.
Per questo pensò
a una nuova fondazione religiosa in Sassari, dandole, in sintonia con la spiritualità
di Madre Angela, una dupplice fisionomia, apostolica e contemplativa: un apostolato
soprattutto fra le ragazze povere dei paesi, da inserire con dignità
nel lavoro professionale, ma anche una spiritualità incentrata sull’Eucarestia
e sulla Passione del Signore.
Nel 1934 ebbe ancora il trasferimento dal Seminario Turritano alla
Casa della Missione di Viale Italia, nella segreta speranza di potersi dedicare
maggiormente alla cura delle sue Suore; tuttavia veniva richiesto ancora in
continuazione per la predicazione, sia al popolo che al clero.
Non potendo più contare sulla fermezza delle gambe, accettò volentieri
di poter circolare col famoso 'calessino' trainato dall'asinello, sia in città
che nei paesi limitrofi. Ed è questa l'ultima sua immagine scolpita nella
memoria di tanti, tuttora viventi, che lo ricordano con venerazione.
La malattia che lo portò alla morte fu di soli dieci giorni: una emorragia
cerebrale lo colse nel pieno della predicazione, togliendoli completamente
la vista: non a Sassari, ma ad Arzachena, dov'era stato inviato per un triduo
di preparazione alla visita pastorale.
Furono i giorni dell'apoteosi manzelliana: numerosissime le visite
di cortesia, soprattutto dei poveri, tanto da doverlo sistemare nel parlatorio
della casa. Tutti volevano salutarlo e ricevere da lui un ultimo messaggio:
sacerdoti, suore, laici di ogni estrazione. "Sono l'uomo più felice del
mondo!" fu l'ultima definizione che egli diede di se stesso, in quei
giorni, rispondendo a un prete di Ozieri, venuto per fargli visita.
Morì il sabato 23 ottobre 1937, alle quattro del mattino, attorniato
dai confratelli e dalle suore che lo avevano vegliato nell'agonia della notte.
Per la popolazione fu normale commentare che era morto "santo
Manzella". Tutti, infatti, lo additavano così da anni, quando lo
incontravano per le vie di Sassari e gli chiedevano una benedizione per il
proprio bambino o ammalato.
Il plebiscito di stima e venerazione ebbe come momento culminante proprio
la celebrazione solenne dei suoi funerali nella cattedrale di Sassari, il
24 ottobre 1937. In quella circostanza l'arcivescovo Mons. Arcangelo Mazzotti
non poté fare a meno di eprimere pubblicamente quella che era già opinione
generale della popolazione sarda, che lo aveva incontrato e stimato: "Senza
affrettare od anticipare il giudizio della Santa Chiesa, noi tuttavia possiamo
affermare che il Signor Manzella é un Santo".
La salma, fin dal 1941, venne traslata nella cripta della chiesa del
SS.mo Sacramento, presso la Casa Madre delle Suore del Getsemani. E questa
chiesa, voluta da lui e oggi in prossimità degli ospedali sassaresi, da sempre
è meta continua di pellegrinaggio. In particolare, sono gli ammalati che vi
si recano per raccomandarsi a lui prima del ricovero ospedaliero, ritornandovi,
poi, a ringraziare della salute riacquistata.
La sua vita e il suo sacerdozio sono semplicemente
stupendi per chi ha potuto in qualche modo conoscerlo. Ne è testimone ancora
lo stesso Mons. A. Mazzotti, che nella commemorazione del 1947 usava queste
espressioni: "Oggi, a dieci anni di distanza, la stima, l'affetto,
la convinzione della santità del vecchio missionario è tutt'altro che sminuita.
Il pellegrinaggio alla sua tomba è ininterrotto, la fiducia nella di lui intercessione
ha un crescendo impressionante. Ieri la conferenza al salone dello Sciuti
(
[20]
) è stata
un grande successo: la folla era tanta da non poter essere contenuta nella
sala, e molti dovettero con dispiacere rinunziare a sentire il discorso commemorativo.
Stamattina questa cattedrale riunisce tanta folla da ricordare quella che
numerosissima intervenne ai funerali. Qual è il segreto di questa popolarità,
di questa attrazione esercitata dalla figura del Signor Manzella? ... E' certamente
la santità della sua vita".
Ogni anno, nella data di morte, si ricorda
la sua figura sacerdotale e missionaria con una celebrazione particolare presieduta
dal vescovo, alla quale la popolazione sassarese e dei paesi vicini partecipa
sempre con una particolare frequenza e devozione, che oggi, dopo tanti decenni,
diventa davvero impressionante e profetica. E’ il segno visibile dell’attesa
fiduciosa del popolo sardo per la glorificazione di questo Servo di Dio, fattosi
“da lombardo di nascita, sardo di cuore”.
P. Pietro Pigozzi CM
[1] A. Sategna, Il Signor Manzella Prete della Missione, apostolo della Sardegna, Ediz. Liturgiche e Missionarie, Roma 1942.
[2] Visita ad limina del 15 dicembre 1981.
[3] Lo ricorda lui stesso in “La Carità”, maggio 1925, p. 33.
[4] Pseudonimo dei Preti della Missione, che alludeva alla “beretta” con tricorno semplice che essi usavano.
[5] Cfr. Regole Comuni di S. Vincenzo, n.3: “Qualora la divinaProvvidenza permetta che la Congregazione o una sua casa o uno dei suoi membri siano, senza alcun motivo, colpiti e messi alla prova da calunnia o persecuzione, ci asterremo con grande cura da ogni rivendicazione, maledizione e perfino da ogni rimostranza…, anzi ne loderemo e benediremo Dio, ringraziandolo con gioia come di un’occasione di gran bene proveninente dal Padre dei lumi…”.
In particolare, si pensi alla terribile calunnia che gli fu rivolta nel 1912, quando fu accusato ingiustamente presso i superiori di aver infranto il segreto confessionale. Era stato, per colei che l’accusò, un modo di reagire al fatto che Padre Manzella, su mandato dell’arcivescovo Mons. E. Parodi, prese la prudente decisione di sospendere la fondazione dell’Istituto secolare di S. Angela Merici, avendo notato che le persone interessate e soprattutto chi avrebbe dovuto dirigerle non avevano raggiunto un’adeguata formazione spirituale e comunitaria. L’epistolario fra il Servo di Dio, Madre Angela Marongiu e Leontina Sotgiu mettono in luce la sua prudenza nel trattare la questione. Tuttavia sopportò con fede e fortezza spirituale questa calunnia per lunghi anni, finché la stessa calunniatrice non gli chiese scusa in punto di morte. Nel 1936 fu ancora Padre Manzella che riprese l’iniziativa della fondazione e della direzione spirituale del medesimo Istituto.
[6] Cfr. la testimonianza manoscritta di P. Giuseppe Manassero, che insieme con altri chierici, il giorno della sua partenza per Sassari, vollero appropriarsi di qualche frangia della sua fascia come reliquia di un santo. ACMS.
[7] Egli era già stato superiore della Casa della Missione di Sassari dal 1892 al 1897. L’anno seguente divenne Visitatore della Provincia religiosa CM di Torino.
[8] Cfr. Conferenza di S. Vincenzo ai Missionari n. 177.
[9] Conferenze ai Preti della Missione, n. 56.
[10] Testimonianza orale raccolta a Laerru (SS) nel 2005.
[11] Lettera a Leontina Sotgiu, 5/2/1915.
[12] Cfr. Conferenze ai Preti della Missione, n. 195
[13] Lo testimonia l’illustre sassarese prof. Remo Branca in ‘Libertà’ dell’8 dicembre 1967: “I comunisti ci attaccavano, mettendosi a parlare dei preti ‘nemici del popolo lavoratore’. Un giorno, a dimostrare che c’era in Sardegna un prete amico della classe operaia, replicai citando il nome del Signor Manzella. Cicito Anfossi rispose: ‘Manzella è un’altra cosa: Manzella è un santo!’.
[14] Mons. S. Fraghì, 1948. Cfr. Commemorazioni in memoria del Signor Manzella Prete della Missione, Stampacolor 1995, I vol., p. 207.
[15] Cfr. Commemorazioni…., idem, p. 215.
[16] Cfr. Commemorazioni…, idem, pp. 203-204.
[17] Schema di predicazione. Manoscritto ACMS.
[18] Schema di predicazione. Manoscritto ACMS.
[19] Lettera a Leontina Sotgiu, 1913. ACMS.
[20] Si tratta della grande sala, oggi consiliare, del palazzo della Provincia di Sassari.